martedì 29 luglio 2008

tic-toc

va beh, la storia del pakistano ha avuto poco successo. il blog perde spessore. occorre rivitalizzarlo.
qui bisogna rivitalizzare un po' tutto, a dire il vero.
roma sopporta malvolentieri lo scorrere del tempo. cielo, è quasi agosto e qualcuno ha ancora l'amena intenzione di lavorare. scandalo. io mi lascio contagiare. magari tra poco la lascerò, questa città bella e cialtrona, ma intanto m'ammalo di fancazzismo anch'io. il countdown segna due giorni. pensavo di lavorare fino a venerdì incluso, e invece no. giovedì me ne torno al borgo, agli arvoltoli e alle zanzare del medio tevere.
(sei anni fa esatti, più o meno a quest'ora, meditavo pensieri neri dopo la bocciatura all'esame di procedura penale. un mese e mezzo dopo, più o meno, ne avrei provvidenzialmente superato la replica, garantendomi una serena partenza per barcellona e per l'erasmus-cambia-vita. e poi gli anni son passati, e sono quasi trenta. take care)
take care, sì

venerdì 25 luglio 2008

tutori della legge

Martedì 15 luglio, sette e mezza di sera. Il pakistano urla, sbraita, si dimena fendendo l’aria con un mazzo di rose rosse. C’è un ragazzo rasato che lo tiene a fatica per il collo, da dietro. Una “cravatta” vigorosa. I due si trascinano lungo il marciapiede che costeggia via dei Fori Imperiali, a un passo dal Vittoriano. Si trascinano perché l’asiatico, pakistano, indiano, bengalese o cingalese che sia, sta cercando di scappare, e l’altro non lo molla. Poi arriva un poliziotto, e si fionda subito sull’uomo di colore, cercando di bloccarlo a terra. Usa le maniere forti. Ma quello cerca di sgusciare, non si calma, continua a urlare parole incomprensibili per chi non conosce la sua lingua. Ma è evidente che chiede aiuto.

E l’aiuto gli arriva, un po’ strampalato, da una ragazza magrolina che s’avvicina e dà due leggeri colpi sulla schiena dell’uomo rasato. Poco sotto la spalla, di palmo, quasi goffi. In quel momento un altro agente si fionda sui quattro, e mentre con una mano cerca di dare il suo contributo per bloccare il pakistano prende a male parole la ragazza. «Ma che fa? Non vede che ci siamo noi, che c’è la polizia? Lei ha dato un pugno a un vigile urbano in borghese, come si permette? Guardi che portiamo dentro anche lei». Lei non indietreggia di un passo, anche se ha il naso del poliziotto a un centimetro dal suo. «E che ne sapevo che era un vigile urbano? E poi lo stava strozzando. E poi non ho dato nessun pugno».

Nessun pugno, vero, giusto quel paio di colpetti. Poi la scena si sposta poco più in là, quasi a ridosso del Vittoriano. I due poliziotti e il vigile urbano in borghese portano con le cattive il pakistano vicino alla loro volante parcheggiata sul bordo della strada. Nel frattempo s’è formato un piccolo capannello di gente che assiste alla scena, c’è anche un uomo alto, coi baffi, che parla coi poliziotti e ha l’aria di essere un loro superiore. Mentre il vigile urbano rasato apostrofa la ragazza - «Mi hai dato un pugno, mi hai dato un pugno! E che c’entra che ero in borghese? I poliziotti dobbiamo essere noi, tutti noi!» - i due agenti in divisa continuano a prendersela col pakistano, che non smette di divincolarsi. Capelli brizzolati, faccia scavata, un corpo magro magro da maratoneta, deve avere una cinquantina d’anni, ma non demorde. Allora uno dei due poliziotti, quello più giovane, un armadio con gli occhi sottili e le mani da gigante, lo sbatte a terra. Poi, in pratica, gli si siede sopra, mentre l’altro lo prende a calci sulla schiena. Infine il pakistano è schiena a terra, e uno degli agenti, chino sopra di lui, gli stringe energicamente la gola, fino a ridurlo al silenzio. «Allora, la smetti?», urla. Quello la smette, sì. È esanime, ha le labbra biancastre. Socchiude gli occhi e si lascia sbattere dentro la volante.

La gente chiede cos’abbia fatto, l’uomo, per meritarsi un trattamento del genere, ma non ottiene risposta. La più agguerrita di tutti è la ragazza. Di anni lei ne avrà meno di trenta, e scuote i suoi ricci con impertinenza. «Non c’è problema – dice ai poliziotti che le intimano di smetterla -, io vengo a testimoniare». Poi arriva un’altra volante, che parcheggia dietro l’altra. Sembra tutto finito. La gente s’allontana, scossa. L’uomo coi baffi, quello che probabilmente è il capo, raccoglie il mazzo di rose che il pakistano ha stretto in mano fino all’ultimo e lo schiaffa nel portabagagli della sua auto di servizio.

Però c’è qualcosa che ai poliziotti non quadra. Nonostante la loro pazienza, nonostante abbiano chiuso un occhio sul “pugno” dato al vigile in borghese, la ragazza, venti metri più in là verso il Colosseo, s’è fermata a parlare con un motociclista che le ha chiesto lumi sulla vicenda. Allora quello coi baffi e uno degli agenti la raggiungono. «Può seguirci, signorina?». «Certo». Ma non c’è nessuna lavata di capo sul posto, né niente. Non le spiegano perché, ma la fanno entrare nell’altra volante. «Dietro?», chiede lei, ancora fiera, ma un po’ sbalordita. «Dietro». E il piccolo corteo parte alla volta del commissariato, la macchina dell’uomo coi baffi davanti e le due volanti dietro.

Già, ma quale commissariato? Prima di andarsene gli agenti spiegano di far riferimento a Colle Oppio, nell’ambito di un’operazione coordinata dal Celio. Ma né in via Petrarca (il commissariato Esquilino, competente per Colle Oppio) né in via Marco Aurelio (sede del Celio) ne sanno nulla. Dicono solo che in questi giorni è in atto un’operazione di controllo anticlandestini, di cui si occupa direttamente la Questura. Ma questo non aiuta a molto, perché anche la Questura dice di ignorare l’episodio. Restando ai fatti, rimane da capire qual è stato l’episodio scatenante, quale il reato di cui s’è macchiato il venditore di rose, se solo il tentativo di fuga dovuto al suo presumibile status di clandestino o altro. Al di là degli interrogativi sulla violenza spropositata compiuta a danno del pakistano e sulla sorte della ragazza senza paura che ne ha preso le difese.

martedì 22 luglio 2008

quei rapidi movimenti degli occhi


A dispetto di quanto sostenga Bozzi ormai coi Rem ho una specie di rapporto confidenziale. Cinque incontri in una vita non sono poi così pochi, no? È per questo che ieri non sono stato travolto dalla temperie di emozione incondizionata che invece hanno subito riconosciuto molti dei miei compari. La Chiara, che era completamente fuori di sé. Lo stesso Bozzi, che ormai mancava all’appuntamento con i Nostri da cinque anni. La Pasqui, che rideva e ballava, e poi la Patti, che ballava più seria, e la Dj, il Meuri, Cuginandia, la Cla, tutto il mondo. Focaia è un caso a parte, ovviamente.

Insomma, parte il riff di Living well is the best revenge e già capisco che c’è qualcosa che non va. Urlo, sento il cuore che batte più forte di quanto dovrebbe, ma non ho dubbi. A metà canzone mi accheto, e metto a fuoco il problema. Su un piano più generale, si sente male. Nello specifico, la voce di Stipe è flebile e metallicamente gracchiante. Allora impreco, richiamo l’attenzione di Bozzi e del Meuri, ma loro tutto sommato se ne fottono. A ragione, penso io. Finisce la prima canzone, per inciso una delle mie preferite del nuovo album, e parte Bad day. Confesso, un brano di cui avrei volentieri fatto a meno. Sono nervoso, mi dico guarda che sfiga proprio a Perugia il peggior concerto dei Rem. Poi ci sono due gruppi di idioti, uno un paio di file davanti a me e uno un paio di file dietro, che si dimenano a torso nudo, brutti, grassocci e con delle birre in mano che non possono fare a meno di far cadere in continuazione addosso a quelli che gli stanno intorno. Fatto singolare, ma che dovrà servire da monito in qualche modo in futuro, in entrambi i gruppi c’è uno che indossa un cappello di paglia a tese larghe. Due cow-boy del Medio Tevere di cui al momento non sentivamo il bisogno. Comunque, si va avanti. I pezzi scorrono veloci, Wake up-bomb stuzzica, Man sized-wreath (è lei la più bella di Accelerate) non me la godo. Drive, che ritengo un capolavoro, nemmeno. Mi girano le palle. La voce di Stipe è sempre sporcata da qualche tecnico del suono poco scaltro, e il mixaggio complessivo fa acqua. Vedo i miei amici che si divertono, e mi sento un Calimero che vede crollare anche l’ultimo baluardo di gioia indubitabile. Un concerto dei Rem: cosa potrebbe esserci di meglio, nella mia vita?

Forse il mio nervosismo traspare, forse no. Più probabilmente, nessuno si pone il problema. Ma a questo punto arriva l’atteso colpo di scena. Coincide con il primo passaggio verbale di più di tre parole di Micheal Stipe. “Questa è stata scritta per un orribile governo del nostro Paese”, dice più o meno. E parte Ignoreland. Una delle canzoni meno conosciute di Automatic for the people, una delle tre o quattro, per intenderci, che Bozzi ritenne di non includere nella cassetta con cui mi fece conoscere meglio – meglio rispetto a Losing my religion - i Rem sedici anni fa. Sul lato A c’era Automatic, appunto, sul lato B Out of Time. Qualche anno dopo avrei portato il testo di Ignoreland a scuola, alla mia prof. di inglese che ci chiedeva alternative ai suoi Beatles e al suo Bob Dylan, per studiarli e ascoltarli in classe. Se non ricordo male disse che era troppo volgare, e la bocciò. Ci sorbimmo invece The Rhyme of the ancient mariner (ispirata a Colerdige, sì) dei Metallica o di qualche altro gruppo ruttante del genere, proposta dal buon Larry. Insomma, ecco Ignoreland ed ecco che dentro di me qualcosa si scioglie. Lo percepisco, e me ne rallegro. A un certo punto infilo la mitragliata di parole che segue l’unico inciso, quello melodico (if they werent’ there we would have created them…), della canzone, e mi sento bene. Anzi, mi sento bulo, e quindi bene. Da lì è tutta un’altra storia. Il cuore del concerto è bello e il culmine è Let me in, quando la voce di Stipe si alza ad accarezzare le ali di Cobain, appeso su in cima, da qualche parte. Bene, bene, la Chiara è sempre più fuori, Bozzi scompare, Andrea litiga col cow-boy delle retrovie, il Meuri scioglie la stretta delle sue braccia incrociate sul petto (!), s’alza un vento gelido ma la mia gola poco più che punge.

Poi c’è la pausa, e comincia, dentro di me, il conto alla rovescia. Manca Losing my religion, e la faranno. Manca Supernatural superserious, e la faranno. Manca Man on the Moon, e ci chiuderanno. Ne restano un altro paio. A cosa toccherà? È qui il bello. Non c’era troppo da aspettarselo, ormai. Dopo Driver 8 – “l’ho scritta a 23 anni”, quando io mi facevo bocciare due volte a diritto del lavoro, cazzo – quella che Stipe definisce “la terza canzone che abbiamo scritto”. Gardening at night, butto là io. No. Dalle note iniziali fatico a riconoscerla. Ce l’ho, so qual è, ma serve qualche attimo. La Pasqui mi irride, questa non la sai manco tu, dice. E invece no. È 1.000.000. Da Chronic Town. Roba dell’altro mondo. Ma il meglio era arrivato cinque minuti prima: Stipe dice che sono contenti di essere tornati a Perugia (dopo quasi vent’anni, era il 1989), poi si fa da parte e annuncia Mills alla voce. È Rockville. Lo so perché è la canzone che canta Mills dal vivo. Almeno negli ultimi tempi. E se fosse Texarkana, chiede Bozzi. Tesi legittima e tenera insieme. Nel disco tocca a Mills, ma ormai non la fanno più. Via con la chitarra country, allora, è proprio il pezzo che il gioviale Mike scrisse un quarto di secolo fa per una ragazza che lo aveva lasciato per tornarsene “where nobody says hello, they don’t talk to anybody they don’t know”. Non Milano, non – come direbbero i nostri amati fuorisede – Perugia. Ma Rockville, per l’appunto. È il mio tripudio. Il milione di anni da vivere e l’uomo sulla luna a cui dedicano il gran finale mi scorre addosso in surplace. Anche stavolta è andata. Quei tre, simpatici, empatici, capaci di costruire ponti di energia tra sé e la gente là sotto, sono i miei migliori amici. Da quindici anni e passa. E I know it might sound strange but I believe they’ll be coming back before too long.

lunedì 14 luglio 2008

la forza dell'abitudine


niente da fare. è più forte di loro.

mercoledì 9 luglio 2008

navona

dall'intimo al pubblico.
ieri, a piazza navona, c'ero. per vedere, per ascoltare. per aggiungere carne al fuoco, per capire che idee ho in testa.
ho visto, ma, confesso, guardato poco.
ho ascoltato, ma sempre più distrattamente.
la borsellino, equilibrata e condivisibile.
ovadia, teatrale e trascinante.
di pietro, balbettante e fotocopia di sè, venuta manco troppo male.
poi pancho pardi. e via alla distrazione.
poi, risalendo la folla per raggiungere una vecchia amica da incontrare dopo tempo, le poco comprensibili - la voce, quella voce - poesie di camilleri.
poi travaglio, divertente, tagliente, con le sue tante ragioni e i suoi pochi torti.
poi, grillo. e io giù a parlare con claudia, a farmi più in là.
poi la guzzanti. ma ero già dietro il palco, a divincolarmi dai militanti di sinistra critica ("vuol firmare? proposta di legge per il salario minimo garantito a 1.300 euro al mese". ma per piacere).
insomma, non ce l'ho fatta. ad ascoltare gli oltranzisti del "è tutto un magna-magna" non ce l'ho fatta. e passi per grillo, che ho sempre disprezzato, che trovo improponibile, inconsiderabile, inimmaginabile. ma peccato per la guzzanti, che una volta un po' mi piaceva. era brava, la guzzanti comica. poi è diventata un pozzo di fiele e allora lasciamo perdere, che è meglio.
che dire, per stare al merito? nulla. un gran senso di inutilità. di possibilità sprecata. ma non mi riferisco solo alla manifestazione di ieri, che è nient'altro che un elemento di qualcosa di più grande, diffuso. abbiamo perso. urliamo pure che berlusconi è un criminale: abbiamo ragione. ma non cambierà nulla. non se ne esce più. ora come ora, non se ne può uscire. se lo spettro in cui ci muoviamo va da di pietro a veltroni, siamo fritti.
boh, facciamoci scivolare sopra l'estate.
riparliamone a settembre, col fresco.
mal che vada ci butteremo a destra.

stateben

martedì 8 luglio 2008

pianto di mare

mai stato a lloret de mar. è a due passi da barcellona, ma a meno che tu non sia un ragazzino in cerca di carnai e disco-bussi che ci vai a fare?
la riccione spagnola, diceva la gente. la riccione catalana. beh, non mi interessava.
però era davvero lì, vicina.
e, non so, questa storia della ragazzina trucidata m'ha angosciato parecchio. certo, la vicenda è tragica in sé. lei così giovane, queste foto in cui appare così sorridente, abbronzata, solare. poi, improvvisamente, l'ansia dei genitori in canottiera, le speculazioni dei media sulla vita dissoluta di lloret, la facile ironia sottotraccia, la certezza, incontrovertibile, che la ragazzina sarebbe saltata fuori morta e solo morta. e lo sbocciare di impudichi particolari, i tatuaggi, le stelle, i brillantini, una morta decorata come una bambola, come un numero da circo venuto male. in qualche modo, piano piano, dentro di me è montata una piccola, cupa, disperazione. come un tradimento fatto da una terra che considero comunque mia. come il compimento di qualcosa che avrebbe potuto benissimo riguardare chiunque, cinque anni fa, delle tante amiche che avevo io a barcellona. come meredith, certo. l'erasmus, in quel caso, il suolo catalano in questo. non c'entra niente, direte. forse è vero. ma più probabilmente, invece, c'entra una cosa e l'altra. queste due morti, ma questa morte di luglio in particolare, hanno come cauterizzato una ferita, profonda e mia, in cui il germe di una certa giovinezza residua continuava a prosperare. è guarita, e la carne, un pezzo della mia carne, è meno viva. retoricamente, qualcuno al posto mio potrebbe dire che con la ragazzina padovana è morta un'idea (se non l'idea) delle mie amiche delle notti barcellonesi. quell'idea è carne morta, è quel pezzo della mia carne, è quella cicatrice.
io che per queste faccende di cronaca nera ho una morbosa repulsione.
io che a lloret non sono mai stato.
io che, se così si può dire, ho guadagnato un po' di tristezza di esistere in più.

mercoledì 2 luglio 2008

sostiene tabucchi

conoscete il migliore scrittore italiano vivente?
avete la pazienza di ascoltare la sua voce balbettante per poco meno di un quarto d'ora?
se avete qualche dubbio sull'integrità del cavaliere del lavoro che attualmente ricopre la carica di presidente del consiglio.
e se avete qualche dubbio anche sulla capacità del cinefilo che attualmente ricopre il ruolo di leader dell'opposizione in parlamento.
se vi va, in definitiva, andate qua:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/walter-e-i-maiali-di-orwell-audio/

a buon rendere