mercoledì 14 aprile 2010

vicious


new york è grande e calda, ha un cielo più vicino di quanto potessi immaginare e gente fuori di testa a cui piace da morire dare a vedere di essere cool e bella e perfettamente disinvolta.
ogni viaggio è un viaggio migliore se il sole sbaraglia la pioggia e ti lascia girare in lungo e in largo con addosso solo una maglietta e un foulard rosso e un cappellino comprato per dieci dollari al mercatino di bowery. dieci giorni così, o quasi sempre così, non possono essere male. e infatti.
la cosa migliore di new york? il fatto che non esista una cosa migliore. almeno è quanto mi sento di dire dopo una settimana e mezzo passata a zonzo per la città.

ho capito di essere un uomo fortunato appena messo piede nell'appartamento prenotato a dir poco alla cieca via internet, o meglio appena ho visto il pianoforte a muro e il terrazzino che s'affacciava su quanto di più alto potesse esserci in circolazione: il fantasma delle torri giù a sinistra, l'empire state building su a destra. volevi new york? eccoti new york.
poi ci sono i negozi di musica e vestiti vintage del greenwich e dell'east village, ci sono i cuban sandwich del cafè habana (voted best sandwich in new york) proprio sotto casa, e ci sono pure i rivera e i gauguin e i picasso del quinto piano del moma. c'è la ruota melanconica dell'amusement park di coney island e c'è l'aria bollente delle vie di williamsburg, c'è il reticolato di luci dietro il ponte di brooklyn quando il tramonto si fa buio e c'è il racconto di un uomo che ha appena incontrato michael stipe fuori dal negozio di dischi in cui sei appena entrato.

new york, certo, new york. t'è piaciuta new york? t'è piaciuto quel popolo idiota che affolla le partite dell'nba e canta l'inno americano prima che dei bestioni svogliati comincino a giocare a pallacanestro? t'è piaciuta quell'incontenibile e avida necessità di mostrarsi cordiali e ospitali ed utili che ti circonda tutto il santo giorno? e i neri di harlem vestiti a puntino la mattina di pasqua? e il concerto dei califone, quattrocento persone e neanche un africano-americano, forse un paio di asiatici, e un ispanico, e tu a chiederti perché, chissà perché, ma l'integrazione, tutto sommato, cosa diamine è? t'è piaciuta l'idea che poco oltre le mura dell'aeroporto che ospiterà le tue ultime ore sul suolo americano ha passato gran parte del suo tempo quello che potrebbe anche essere il più grande scrittore vivente? t'è piaciuto il burro d'arachidi? e lo sciroppo d'acero? eh, dozzini?

oh, se m'è piaciuto, tutto questo.

a dirla tutta, ci sarei rimasto ancora un po', a new york.

ma mica mi lamento. ora vado a fare merenda con un cannolo alla crema che la migliore donna del mondo m'ha riportato tornando a casa dal lavoro, come si fa con un bambino che si vizia e che probabilmente non se lo meriterebbe. come potrei lamentarmi?

take care.