mercoledì 4 maggio 2011

Intervista a Cristina Donà

L'intervista a Cristina Donà uscita sul Corriere dell'Umbria di mercoledì 4 maggio 2011.


Sembra incredibile, ma Cristina Donà a Perugia non c’ha mai suonato. Quindici anni di carriera, cinque dischi, la reputazione meritata di cantautrice raffinata e potente, eppure è così. Una specie di tabù, che verrà sfatato venerdì, per il gran finale della seconda edizione degli Incantevoli, la provvidenziale rassegna della Musical Box che ha dato un’anima musicale a questo primo scorcio di 2011 perugino.

“Finalmente”, dice lei. “E poi pare che il Morlacchi sia uno dei teatri più belli d’Italia”. Scorre i nomi di chi l’ha preceduta nel programma della manifestazione, e s’accende. “Con Brondi suonano due dei miei musicisti storici. Bobo Rondelli, poi, lo seguo da una vita. È un pazzo furioso con classe da vendere”.

Beh, la classe non manca neanche a lei. Prendete il disco che ha pubblicato il gennaio scorso. Torno a casa a piedi è la splendida prova di maturità di un’artista che non ha mai sbagliato un colpo. E che oggi, diventata mamma, forse ha scritto la migliore raccolta di canzoni della sua carriera.

“Sì, a distanza di quattro mesi dalla sua uscita il disco mi piace ancora molto. Anche se come capita sempre dal vivo alcune canzoni risultano superiori alla versione da studio. E sì che non abbiamo avuto nemmeno troppo tempo per provarle. Fino a fine febbraio sono stata impegnata con una promozione incalzante, e col bimbo piccolo proprio non ce la facevo a far partire anche il tour. E così la prima data è stata il 25 marzo”.

Quanto ti pesa, lasciare tuo figlio a casa?

“Tantissimo. Già è difficile, e delicato, abituare il bambino all’idea che la mamma fa un mestiere del genere. Per me, poi, è come una doppia bretella. Da una parte c’è il cuore, il dolore di quando devi separarti dalla cosa più straordinaria che ti sia capitata nella vita. Dall’altra però c’è la musica, ci sono i concerti: suonare è un’altra parte di cuore, per me, non posso farne a meno. E quando poi sono sul palco, in ogni caso, sono contenta”.

Sarai tu, insieme a Daniele Silvestri, a chiudere la prima edizione salentina di Italia Wave, a luglio. L’addio alla Toscana, sede storica di IW, non è una buona notizia per il circuito dei grandi festival italiani. Che segnano il passo un po’ dappertutto. Tu sei stata tra i protagonisti del Tora Tora, il festival itinerante di Manuel Agnelli e della Mescal che girava la Penisola nei primi anni Zero. Cos’è cambiato da allora?

“Indubbiamente è un periodo difficile. Ci sono Paesi che sull’arte e sulla cultura adesso investono ancora di più, perché pensano che siano un formidabile motore di sviluppo. In Italia purtroppo non è così. Secondo me c’è dietro un progetto di appiattimento e imbarbarimento, perché se è imbarbarita la gente è più facile da gestire. Manuel dice che si tratta più che altro di inettitudine. Io dico l’una e l’altra cosa. E a destra e a sinistra, tranne poche eccezioni, la vedono più o meno alla stessa maniera”.

Ma tu pensi che per certi versi si sia perso anche lo spirito di quegli anni?

“Non credo. Io non sono mai stata un’organizzatrice, mi sono sempre accodata. La mia voglia di fare le cose insieme agli altri è testimoniata più che altro dalle tante collaborazioni di cui riempio i miei dischi. Però Manuel, ad esempio, ha sempre creduto che l’unione fa la forza. Lo dimostra l’operazione che ha fatto a Sanremo (nel 2009, con la conseguente compilation di musicisti indie Il Paese è reale, ndr). E credo che stia provando a rimettere insieme il Tora Tora”.

Il live, dicevi, è una dimensione essenziale, per te. Un disco dal vivo, però, ti manca.

“Ci sto pensando. Ne discuto da tempo col mio manager, lui dice che nell’era di YouTube già si trova tutto in rete, che non ha senso. Però la qualità è quella che è, un disco, registrato per bene, è una cosa diversa. E poi mi dicono tutti che rendo più dal vivo che in studio. Chissà, magari prima o poi il live riesco a farlo”.