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giovedì 30 dicembre 2010
Top Ten - I migliori concerti del 2010
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mercoledì 29 dicembre 2010
Intervista a Vinicio Capossela
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Sergio Piazzoli è un uomo indaffarato. E meno male. Non solo perché se non ci fosse lui con la sua Musical Box ad organizzare concerti per tutto l’anno su e giù per l’Umbria noi certa musica dal vivo non sapremmo nemmeno come è fatta. Pare che se Piazzoli non fosse un uomo indaffarato, per esempio, stasera non potremmo sentire un concerto di Vinicio Capossela al Teatro Morlacchi. “L’ho invitato venire a una delle date che faccio sempre sotto Natale, ma lui non poteva. E allora, mi sono detto, vado io a Perugia”, spiega Vinicio.
Forse scherza, forse no. Lui e Piazzoli sono amici da anni. Pochi in meno dei venti esatti trascorsi dall’uscita del primo disco di Capossela, All’una e trentacinque circa. “Sergio è stato uno dei primi promoter a organizzare i miei concerti. Il primo in assoluto fu all’After Bomb di Terni, poi ce ne fu uno alla Sala dei Notari, a Perugia. Da quel momento è nato un rapporto di amicizia, e soprattutto una sorta di complicità nei confronti della musica. Che si basa non tanto sui miei concerti organizzati da lui, quanto su quelli che andiamo a vedere insieme. Per Umbria Jazz, per Rockin’ Umbria, quando capita. E poi m’ha ospitato diverse volte nella sua casa di Perugia, ho avuto modo di conoscere gente e luoghi a cui ormai sono molto legato”.
Però era da tanto che non passavi a suonare da queste parti.
“Già. L’ultima volta è stata nel 2003, c’era ancora il Turreno. Stavolta, poi, l’occasione era imperdibile. Il Morlacchi è splendido. Ricordo che ne fui fulminato quando ci sentii Joao Gilberto, nel ’96. Diciamo che quello di stasera è il coronamento perfetto del mio rapporto con Sergio e con la città. Non a caso il concerto si baserà principalmente sul repertorio dei primi dischi, e anche la formazione è d’annata. Ci saranno Enrico Lazzarini, Mirco Mariani, Giancarlo Bianchetti, Piero Odorici e un grande ospite speciale come Jimmy Villotti, che aveva suonato proprio nel mio primo disco”.
Voltiamo pagina. I tuoi prossimi concerti, dopo Perugia, saranno a Parigi, per San Valentino, e a Londra, il giorno dopo. D’altronde ormai il tuo spessore internazionale è riconosciuto. Cosa cambia, per te, quando suoni all’estero?
“Beh, suonare fuori è sempre un’avventura. Per certi versi sei più libero di rinnovare la tua musica, però c’è la barriera della lingua, non roba da poco. Per questo cerco sempre di impararmi due o tre formule nella lingua del posto per dare al pubblico delle chiavi di lettura. A New York, per esempio, abbiamo suonato la prima volta nel 2007, in un posto che si chiama Joe’s Pub. Fu un vero e proprio spettacolo, non solo musica ma anche tanto entertainment. Quest’anno, invece, abbiamo fatto un tour intero, affittando un tour bus e toccando New York, Toronto, Montreal, Chicago, San Francisco e Losa Angeles. È molto affascinante, anche se non è semplice portarlo avanti nel tempo”.
Dall’America a casa nostra. Lo scorso novembre hai fatto un’apparizione a sorpresa al Mei (il Meeting delle Etichette Indipendenti) di Faenza. Credi che rispetto a vent’anni fa per un giovane emergere sia più complicato o più semplice?
“Al Mei ho cantato tre canzoni al concerto del mio vecchio amico Mirco Mariani. Qualche tempo fa m’aveva proposto di partecipare al suo nuovo progetto, che si chiama Saluti da Saturno. Hanno realizzato questo disco che si intitola Parlare con Anna, dove io canto tre brani. Gli stessi che ho cantato al Mei, per l’appunto. Quanto a chi comincia a suonare oggi, credo che possa sfruttare le grandi opportunità della tecnologia. Produrre musica di buon livello è molto più semplice ed economico di una volta. Allo stesso tempo, le grandi produzioni industriali hanno gli stessi costi elevati di prima, a dispetto del clamoroso calo delle vendite. È una situazione difficile, e difficilissimo è trovare delle soluzioni”.
Ma c’è qualcosa che ti piace, nella scena indipendente italiana?
“Certo. Per esempio Edda, l’ex cantante dei Ritmo Tribale, l’anno scorso ha fatto un bellissimo disco, Semper Biot: m’ha veramente colpito. Poi c’è tutta la nuova leva cantautorale, tipo Brondi o Dente. Ma io sono molto legato ai vecchi. Prendi lo stesso Villotti. O ancora i tanti musicisti con cui collaboro: Alessandro ‘Asso’ Stefana e i suoi Guano Padano, Vincenzo ‘Braccio Elettrico’ Vasi, Zeno De Rossi. E infine mi piacerebbe citare un gruppo di Barcellona. Si chiamano Cabo San Roque. Fanno musica meccanica, costruiscono degli strumenti eccezionali. Qualche tempo fa mi hanno chiesto di cantare un pezzo nel loro disco, una poesia di Verdaguer in catalano, si intitola L’Atlàntida. Così io gli ho chiesto di suonare la loro fantastica orchestra meccanica nel mio nuovo album, che ho appena finito di registrare e uscirà a marzo. In tempi di crisi il baratto tra musicisti va molto di moda”.
lunedì 27 dicembre 2010
Top Ten - I migliori album del 2010
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venerdì 24 dicembre 2010
Top Ten - I migliori romanzi del 2010
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venerdì 3 dicembre 2010
Intervista a Federico Dragogna - Ministri
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Domani sera all’Urban, a meno di due mesi dall’uscita del loro nuovo disco Fuori, arrivano i Ministri. Una carriera fulminante, la loro. Dalla scena indie milanese a piccola icona del rock italiano – di un rock quasi main-stream - in una manciata di anni. Considerando quanto poco tempo è passato dai loro esordi al momento in cui sono stati messi sotto contratto da una major come la Universal, un caso pressoché unico, dalle nostre parti. Federico Dragogna, chitarrista e mente del gruppo, lo sa.
“Il merito è della concorrenza”, dice. “Noi abbiamo sempre creduto moltissimo in quello che facevamo, e ci siamo impegnati al massimo fin dall’inizio per emergere. Ma il guaio è che la situazione del rock italiano è allarmante. Per questo siamo arrivati alla Universal così presto”.
Pare che tu dia per scontato il fatto che essere pubblicati da una major, per una band che viene dall’underground, sia un punto di arrivo. Pensi che non sia possibile fare buone cose anche con label indipendenti?
“In America o in Gran Bretagna esistono molte etichette indipendenti con peso e soldi da investire, con grande talento e capacità. Lì una major può anche non essere necessariamente un punto d’arrivo. In Italia è diverso. Basta pensare che per la legge italiana l’etichetta discografica nemmeno esiste, come soggetto giuridico. Poi, io posso parlare del caso nostro. All’inizio avevamo addirittura fondato una nostra label. Poi, due mesi dopo il primo disco, sono arrivate le proposte della Sony e della Universal. Alla fine abbiamo scelto la Universal e siamo soddisfatti. A loro piaceva il fatto che il nostro principale interesse fossero le canzoni, al di là degli atteggiamenti o delle prese di posizione politiche. A noi è andate bene perché dopo un anno e mezzo di lotta abbiamo ottenuto il contratto che volevamo”.
Cioè?
“Diritto di veto su tutto. Dalle copertine alle foto, dalle pubblicità ai comunicati stampa. E il bello è che questo diritto non siamo mai stati chiamati ad esercitarlo”.
I Ministri sono in piena età da X-Factor. Che ne pensate dei talent-show e di chi ci va?
“Premetto che non possiedo un televisore, per cui il mio è un giudizio senz’altro monco. Detto ciò, di buono c’è che i talent-show possono aver messo il grande pubblico in rapporto con gli aspetti meno superficiali della musica, con quel che c’è dietro a una canzone, con le questioni tecniche. D’altra parte, c’è questo rispetto sempre e comunque dell’autorità degli anziani che non può funzionare. Se formi i ragazzi su musica vecchia, non puoi cavarne molto. Gli autori di riferimento, poi, sono pessimi. È il problema della musica pop italiana, che a differenza di quella inglese o americana non è per niente curata. Io adoro il pop ben fatto, adoro Robbie Williams, i Simply Red, penso che persino Toxic di Britney Spears sia un pezzo da paura. Ma in Italia non c’è cura. Salvo in parte Tiziano Ferro: per il resto ascoltiamo canzoni con basi quasi midi, con testi raffazzonati. È il brutto pop che fa male, non il pop in sé”.
Girando su internet c’è caso di imbattersi in siti che ai fan dei Ministri consigliano di ascoltare anche artisti come Dente, Le luci della centrale elettrica o i Baustelle. Ma secondo te c’entrate davvero qualcosa, con loro?
“Guarda, con Dente e Le luci siamo innanzitutto grandi amici. Andiamo a cena insieme, ci vediamo spesso. In generale, con loro condividiamo un certo modo di vedere le cose. Tutti vogliamo crescere, cantando in italiano, siamo molto ambiziosi…”.
Un momento. Un flash: agosto 2009, Festival del Roccolo, a San Giustino. Sul palco, prima Dente, poi voi. Non erano esattamente parole carine quelle che vi siete detti durante i vostri rispettivi concerti. Siete diventati amici o era una messa in scena?
“Certo che era una messa in scena. Quella sera ci siamo divertiti moltissimo! La gente ci prendeva sul serio, e questo ci divertiva ancora di più. Fantastico”.
Chiudiamo uscendo dal recinto musicale, come non piacerebbe ai tipi della Universal. Ci salireste in cima alla Torre di Pisa in appoggio alle proteste degli universitari contro la riforma Gelmini?
“Ma non siamo abbastanza famosi da poter essere utili. Io credo che ognuno debba cominciare a impegnarsi nel suo piccolo, nel suo territorio. Qua a Milano suoniamo spesso gratis quando si tratta di sostenere cause che riteniamo giuste: al Conchetta, in piazza, dappertutto. In generale ci piacciono i progetti dal basso, per questo abbiamo rifiutato Grillo e altri. I grandi contenitori non servono a nulla, non educano la gente a un rapporto diretto con la realtà. A che serve fare un bonifico a occhi chiusi? Detto questo, le manifestazioni di questi giorni sono sacrosante. Ma anche nelle singole facoltà ci sono tante piccole cose che non vanno. La mia idea è che si dovrebbe partire proprio da lì, impegnarsi a risolvere i problemi alla portata di tutti, prima di arrivare a protestare contro un progetto di riforma che è già al Senato”.