giovedì 31 marzo 2011

Intervista a Vasco Brondi - Le luci della centrale elettrica

L'intervista a Vasco Brondi, alias Le luci della centrale elettrica, uscita sul Corriere dell'Umbria di giovedì 31 marzo 2011.


La prima volta che è passato da Perugia aveva la chitarra a tracolla e poco altro. Era un ragazzino, Vasco Brondi, che girava l’Italia in treno o con la sua vecchia Fiat Uno a metano. Lo precedeva una piccola fama sotterranea che un poco doveva anche al nome altisonante che aveva scelto per farsi conoscere e riconoscere come cantastorie. Le luci della centrale elettrica. Nome post-moderno, una bomba.

“Ci pensavo giusto ieri”, ricorda adesso. “Per quanto Perugia sia una città piccola, decentrata, l’ho toccata in ognuna delle fasi fondamentali del mio percorso. Prima venni al Loop, questo locale piccolissimo perso in una stradina del centro, con trenta persone davanti e Paolo Vinti a declamare. Passammo quasi tutta la cena a parlare di lui, io e Prinz. Poi, per il tour del primo disco, feci tappa all’Urban, con Giorgio Canali e gli altri. Cominciammo a suonare tardissimo, e il locale era zeppo di gente, e l’atmosfera così calda che non ricordo più nemmeno come finì quella notte. E infine, dopo il secondo disco, eccoci qua. Addirittura al Morlacchi”.

Al Morlacchi, già, per gli Incantevoli. L’appuntamento con Brondi di stasera è probabilmente il più atteso dell’intera manifestazione della Musical Box, il piccolo gioiello dell’ineffabile duo Piazzoli-Prinz. Un po’ la chiusura di un cerchio, per questo ragazzo ferrarese che canta e parla come un fiume in piena.

“È vero. Non era detta che riuscissimo a venire a Perugia. Questo è un tour che tocca tutti posti grandi, da mille persone. Poi è arrivata questa proposta, e l’abbiamo colta al volo. Tra l’altro, si tratta dell’unica data in un teatro. Infatti ho preparato qualcosa di diverso. Sarà sempre e comunque un concerto all’attacco, non è che per il fatto di essere in un teatro bisogna celebrare una messa, però è vero che il grado di attenzione e di concentrazione del pubblico sarà superiore rispetto al solito. Quindi ci scapperà qualche lettura, roba tratta dal mio libro e non solo. Più alcune canzoni di altri autori rimaneggiate ben bene”.

Dopo Canzoni da spiaggia deturpata tutti erano curiosi di vedere come sarebbe stato il tuo secondo disco. Con l’esordio avevi sparigliato le carte, avevi portato un elemento di rottura nel panorama indie italiano. Con che approccio ti sei accostato al tuo lavoro successivo?

“Con un approccio più semplice di quello degli ascoltatori. Semplicemente, ho fatto quello che mi veniva più naturale fare. Ai tempi del primo disco non m’ero nemmeno reso conto di essere così di rottura, anche perché non ascoltavo tutta la musica che per forza di cose mi ritrovo ad ascoltare adesso. E poi penso che chi da Per ora noi la chiameremo felicità si aspettasse una sorta di seconda opera prima, una rottura ulteriore, sbagliasse di grosso. Prendi gli altri, per esempio i Bachi da Pietra o i Massimo Volume. I loro nuovi dischi sono bellissimi, ma hanno la loro solita voce. Io da un disco voglio che mi assomigli, che mi rappresenti. Non è che mi metto lì a spremermi per fare uscire qualcosa di rivoluzionario. Non si tratta di un nuovo modello della Fiat o della Ford. Però è vero che coi primi due dischi e col libro, li chiamo Trilogia della Periferia, ho chiuso una pagina”.

E adesso?

“Non so ancora bene. Sicuramente ho delle idee sulla direzione da prendere. Ma è perché mi sento così, non è che sto a teorizzare. Certo, il prossimo disco sarà diverso, ma sarà comunque riconoscibile come un disco mio. Intanto quest’estate farò un altro tour, festival e tutto. Poi vedremo”.

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