giovedì 11 dicembre 2008

queto è

Franziska si fermò, chinò il busto in avanti, allungò il braccio e gridò: "Queto è, queto è?".
Era davvero bellissimo, un grosso pezzo di buccia d'arancia perfettamente integro che qualcuno aveva gettato oltre il nostro steccato. "Una buccia d'arancia", dissi. "Cosa?" chiese lei. "Una buccia d'arancia", ripetei. "Cosa?" - "Una buccia d'arancia", esclamai. "Queto è?" Una buccia d'arancia e ancora, una buccia d'arancia. E all'improvviso capii: una buccia d'arancia! Franziska mi comprese all'istante. Aveva notato dal mio tono o da non so cos'altro che finalmente le avevo dato la spiegazione esatta. Entrambi osservavamo la buccia d'arancia e con essa il miracolo che la buccia d'arancia ci fosse, e che ci fossimo noi e tutti e tutto, il grande miracolo insomma. Non c'è altro da dire, non chiedetemi spiegazioni. Coglievamo il miracolo di esserci. Punto. Devo dire che ci vidi nel grembo dell'universo? Ma non vidi solo noi, bensì tutti e tutto. E ogni singola cosa e creatura, ma non come quando si abbraccia qualcosa con lo sguardo, bensì come se ogni singola cosa e creatura fosse vicina. Avevamo abbandonato tutto ciò che è spaventoso e tutto ciò che è umano e tutto ciò che è brutto e tutto ciò che è bello. Non ne ero separato, non c'era niente in mezzo, tra me, noi e tutto.

Ingo Schulze - Bolero Berlinese

2 commenti:

Anonimo ha detto...

sì, lo voglio riscrivere pure io. queto è. queto è. (patti)

Anonimo ha detto...

aò me pari matto me pari