martedì 8 luglio 2008

pianto di mare

mai stato a lloret de mar. è a due passi da barcellona, ma a meno che tu non sia un ragazzino in cerca di carnai e disco-bussi che ci vai a fare?
la riccione spagnola, diceva la gente. la riccione catalana. beh, non mi interessava.
però era davvero lì, vicina.
e, non so, questa storia della ragazzina trucidata m'ha angosciato parecchio. certo, la vicenda è tragica in sé. lei così giovane, queste foto in cui appare così sorridente, abbronzata, solare. poi, improvvisamente, l'ansia dei genitori in canottiera, le speculazioni dei media sulla vita dissoluta di lloret, la facile ironia sottotraccia, la certezza, incontrovertibile, che la ragazzina sarebbe saltata fuori morta e solo morta. e lo sbocciare di impudichi particolari, i tatuaggi, le stelle, i brillantini, una morta decorata come una bambola, come un numero da circo venuto male. in qualche modo, piano piano, dentro di me è montata una piccola, cupa, disperazione. come un tradimento fatto da una terra che considero comunque mia. come il compimento di qualcosa che avrebbe potuto benissimo riguardare chiunque, cinque anni fa, delle tante amiche che avevo io a barcellona. come meredith, certo. l'erasmus, in quel caso, il suolo catalano in questo. non c'entra niente, direte. forse è vero. ma più probabilmente, invece, c'entra una cosa e l'altra. queste due morti, ma questa morte di luglio in particolare, hanno come cauterizzato una ferita, profonda e mia, in cui il germe di una certa giovinezza residua continuava a prosperare. è guarita, e la carne, un pezzo della mia carne, è meno viva. retoricamente, qualcuno al posto mio potrebbe dire che con la ragazzina padovana è morta un'idea (se non l'idea) delle mie amiche delle notti barcellonesi. quell'idea è carne morta, è quel pezzo della mia carne, è quella cicatrice.
io che per queste faccende di cronaca nera ho una morbosa repulsione.
io che a lloret non sono mai stato.
io che, se così si può dire, ho guadagnato un po' di tristezza di esistere in più.

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