venerdì 3 dicembre 2010

Intervista a Federico Dragogna - Ministri

La versione integrale dell'intervista a Federico Dragogna dei Ministri, uscita sul Corriere dell'Umbria di oggi, venerdì 3 dicembre.

Domani sera all’Urban, a meno di due mesi dall’uscita del loro nuovo disco Fuori, arrivano i Ministri. Una carriera fulminante, la loro. Dalla scena indie milanese a piccola icona del rock italiano – di un rock quasi main-stream - in una manciata di anni. Considerando quanto poco tempo è passato dai loro esordi al momento in cui sono stati messi sotto contratto da una major come la Universal, un caso pressoché unico, dalle nostre parti. Federico Dragogna, chitarrista e mente del gruppo, lo sa.

“Il merito è della concorrenza”, dice. “Noi abbiamo sempre creduto moltissimo in quello che facevamo, e ci siamo impegnati al massimo fin dall’inizio per emergere. Ma il guaio è che la situazione del rock italiano è allarmante. Per questo siamo arrivati alla Universal così presto”.

Pare che tu dia per scontato il fatto che essere pubblicati da una major, per una band che viene dall’underground, sia un punto di arrivo. Pensi che non sia possibile fare buone cose anche con label indipendenti?

“In America o in Gran Bretagna esistono molte etichette indipendenti con peso e soldi da investire, con grande talento e capacità. Lì una major può anche non essere necessariamente un punto d’arrivo. In Italia è diverso. Basta pensare che per la legge italiana l’etichetta discografica nemmeno esiste, come soggetto giuridico. Poi, io posso parlare del caso nostro. All’inizio avevamo addirittura fondato una nostra label. Poi, due mesi dopo il primo disco, sono arrivate le proposte della Sony e della Universal. Alla fine abbiamo scelto la Universal e siamo soddisfatti. A loro piaceva il fatto che il nostro principale interesse fossero le canzoni, al di là degli atteggiamenti o delle prese di posizione politiche. A noi è andate bene perché dopo un anno e mezzo di lotta abbiamo ottenuto il contratto che volevamo”.

Cioè?

“Diritto di veto su tutto. Dalle copertine alle foto, dalle pubblicità ai comunicati stampa. E il bello è che questo diritto non siamo mai stati chiamati ad esercitarlo”.

I Ministri sono in piena età da X-Factor. Che ne pensate dei talent-show e di chi ci va?

“Premetto che non possiedo un televisore, per cui il mio è un giudizio senz’altro monco. Detto ciò, di buono c’è che i talent-show possono aver messo il grande pubblico in rapporto con gli aspetti meno superficiali della musica, con quel che c’è dietro a una canzone, con le questioni tecniche. D’altra parte, c’è questo rispetto sempre e comunque dell’autorità degli anziani che non può funzionare. Se formi i ragazzi su musica vecchia, non puoi cavarne molto. Gli autori di riferimento, poi, sono pessimi. È il problema della musica pop italiana, che a differenza di quella inglese o americana non è per niente curata. Io adoro il pop ben fatto, adoro Robbie Williams, i Simply Red, penso che persino Toxic di Britney Spears sia un pezzo da paura. Ma in Italia non c’è cura. Salvo in parte Tiziano Ferro: per il resto ascoltiamo canzoni con basi quasi midi, con testi raffazzonati. È il brutto pop che fa male, non il pop in sé”.

Girando su internet c’è caso di imbattersi in siti che ai fan dei Ministri consigliano di ascoltare anche artisti come Dente, Le luci della centrale elettrica o i Baustelle. Ma secondo te c’entrate davvero qualcosa, con loro?

“Guarda, con Dente e Le luci siamo innanzitutto grandi amici. Andiamo a cena insieme, ci vediamo spesso. In generale, con loro condividiamo un certo modo di vedere le cose. Tutti vogliamo crescere, cantando in italiano, siamo molto ambiziosi…”.

Un momento. Un flash: agosto 2009, Festival del Roccolo, a San Giustino. Sul palco, prima Dente, poi voi. Non erano esattamente parole carine quelle che vi siete detti durante i vostri rispettivi concerti. Siete diventati amici o era una messa in scena?

“Certo che era una messa in scena. Quella sera ci siamo divertiti moltissimo! La gente ci prendeva sul serio, e questo ci divertiva ancora di più. Fantastico”.

Chiudiamo uscendo dal recinto musicale, come non piacerebbe ai tipi della Universal. Ci salireste in cima alla Torre di Pisa in appoggio alle proteste degli universitari contro la riforma Gelmini?

“Ma non siamo abbastanza famosi da poter essere utili. Io credo che ognuno debba cominciare a impegnarsi nel suo piccolo, nel suo territorio. Qua a Milano suoniamo spesso gratis quando si tratta di sostenere cause che riteniamo giuste: al Conchetta, in piazza, dappertutto. In generale ci piacciono i progetti dal basso, per questo abbiamo rifiutato Grillo e altri. I grandi contenitori non servono a nulla, non educano la gente a un rapporto diretto con la realtà. A che serve fare un bonifico a occhi chiusi? Detto questo, le manifestazioni di questi giorni sono sacrosante. Ma anche nelle singole facoltà ci sono tante piccole cose che non vanno. La mia idea è che si dovrebbe partire proprio da lì, impegnarsi a risolvere i problemi alla portata di tutti, prima di arrivare a protestare contro un progetto di riforma che è già al Senato”.

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